giovedì 28 maggio 2020

STEP#18 - CHOMSKY E IL RELATIVISMO LINGUISTICO

Ogni lingua stabilisce un sistema di significati relativamente incommensurabile rispetto ad altri sistemi: sulla base di questa premessa, nella prima metà del Novecento, si avanzò l’ipotesi del relativismo linguistico (trattato in questo articolo), per cui si riteneva che a lingue diverse potesse corrispondere una visione del mondo diversa, sulla base del fatto che ogni lingua presta attenzione ad aspetti diversi del reale. La diversità linguistica divenne perciò un modo per predire e spiegare almeno alcuni elementi della diversità cognitiva e culturale.

Il problema della relatività linguistica è stato in gran parte ignorato dai linguisti formali nella seconda parte del ventesimo secolo. Questo è dovuto a due ragioni: la prima riguarda il fatto che Chomsky ha affermato di voler incentrare la ricerca linguistica sulle proprietà universali dei sistemi grammaticali; la seconda consiste in un fondamentale fraintendimento circa il significato del termine “relatività linguistica”, quindi riguardo alla gamma di fenomeni che ne dovrebbero far parte. 

Noam Chomsky

L’immagine stereotipa del relativismo, secondo cui si tratterebbe solo di qualcosa che ha a che fare col diverso numero di parole usate per designare uno stesso concetto, ha senz’altro contribuito a ridurre il possibile impatto teorico del concetto che è invece molto rilevante perché consente di esaminare uno dei paradossi fondamentali della vita umana – ovvero la necessità che ogni individuo ha di usare un codice comune e già definito per esprimere delle esperienze soggettive diverse. Inoltre il relativismo ci costringe da un lato a tener conto del problema del potere delle parole e della libertà relativa che abbiamo di trascendere i limiti del mondo così come è stato costruito mediante pratiche discorsive; dall’altro ci induce a prendere sul serio la tesi di Heidegger, secondo cui non siamo noi a parlare una lingua, ma è la lingua stessa a parlare attraverso di noi.

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